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Arthur Schopenhauer era un uomo abitudinario. Come si diceva anche del suo collega Immanuel Kant, Arthur era talmente routinario che i suoi concittadini potevano regolare le lancette dell’orologio sulla base delle sue attività quotidiane. Sveglia all’alba, colazione frugale e rigorosamente vegetariana e poi immediatamente alla scrivania a scrivere di realtà ed illusione.
La vita del filosofo è vita dura, ogni giorno ad interrogarsi sui misteri della conoscenza non venendo mai a capo di una verità assoluta. E’ vita di privazioni mondane e di totale immersione nel mondo del pensiero astratto, è sacrificio intellettuale e patimento interiore, è vita solitaria. Ma non per Arthur.
Ai piedi della sua scrivania invasa da fogli e pensieri, soleva sonnecchiare silenziosamente e fedelmente un elegante barbone bianco in attesa della puntuale passeggiata mattutina.
Si chiamava Atma, parola che in sanscrito significa “essenza”, “soffio vitale”, “anima del mondo”. Nome curioso se si pensa che Arthur aveva dedicato la sua intera ricerca filosofica per spiegare che il mondo è illusione. Per il filosofo tedesco la realtà è infatti ingannevole, quel che vediamo non è ciò che è davvero. Tra l’esistenza (la realtà che noi vediamo) e l’essenza (la vera realtà) vi è un velo che ci impedisce di percepire chiaramente la verità. La vera essenza resterà per l’uomo un mistero finché quel velo – che lui chiama Velo di Maya ispirandosi alla tradizione induista – non verrà trasceso.
Durante le sue passeggiate con Atma lungo il fiume Meno i passanti lo guardavano quasi con pietà. Arthur era considerato un uomo solo e misogino, non aveva mai conosciuto il calore della compagnia di una donna. Per quegli stessi passanti Arthur non aveva quindi mai conosciuto l’amore. Ma non sapevano che tra quegli appunti raccolti nell’impeto di riflessioni pindariche sul mondo e sulla vita Arthur aveva scritto quella che sarebbe rimasta la sua frase più conosciuta ai posteri “Chi non ha mai posseduto un cane non sa cosa vuol dire essere amato”.
Arthur conosceva l’amore, lo aveva esperito nella sua forma più pura, potremmo dire – parafrasando il suo credo filosofico – che conobbe l’amore nella sua vera essenza. Non l’amore utilitaristico e fallace che lega un uomo ad una donna né l’amore conflittuale e troppo spesso insano che lega un padre a un figlio. Arthur e Atma si amavano di quell’amore autentico privo di rappresentazioni illusorie e distorte, un amore capace di trascendere il Velo di Maya.
L’amore per Atma ispirò costantemente il lavoro ed il pensiero di Schopenhauer, tanto che oggi potremmo propriamente definirlo un vero animalista. Una sensibilità nata tra i banchi dell’Università durante gli studi di Medicina:
Quando studiavo a Göttingen il professor Blumenbach ci parlò molto seriamente, nel corso di fisiologia, degli orrori delle vivisezioni e ci fece notare come esse fossero una cosa crudele e orribile. Invece oggi ogni medicastro si crede autorizzato a effettuare, nella sua stanza delle torture, gli atti più crudeli nei confronti delle bestie. Nessuno è autorizzato a effettuare vivisezioni. Si ha pietà di un peccatore, di un malfattore, ma non di un innocente e fedele animale che spesso procura il pane al suo padrone e non riceve che misero foraggio. Aver pietà! Non già pietà, ma giustizia si deve all’animale!
Riflessioni sulla straordinarietà del mondo animale sono rintracciabili in moltissimi suoi scritti. Nel 1851, nella mastodontica opera Parerga e Paralipomena, summa del suo pensiero, scrive:
Il cane è l’unico vero e fedelissimo amico dell’uomo, e la più preziosa conquista che l’uomo abbia mai fatto, come dice Cuvier; oltre a ciò esso è un essere estremamente intelligente e di sentimenti fini. Ed ecco che un simile essere viene legato, come un criminale, alla catena, dove da mattina a sera non fa che soffrire per la sempre rinnovata e mai appagata bramosia di libertà e di movimento; la sua vita non è che un lento martirio, e a causa di simile crudeltà, esso finisce per perdere il suo carattere di cane e si trasforma in bestia selvaggia, non fedele e incapace di affezionarsi; diventa così un essere che trema sempre e striscia dinanzi a quel diavolo che è l’uomo!
Uccelli in gabbia, cavalli da lavoro, animali da fattoria, vittime della vivisezione: il cane incatenato diventa per il filosofo il simbolo di tutte le crudeltà di cui gli animali sono vittime per mano degli uomini. Questi uomini talmente crudeli da diventare, nel suo vocabolario personale, un altro modo per dire “cattivo”. Si dice infatti che quando Atma lo irritava, usasse insultarlo con la parola mensh, che in tedesco significa nient’altro che “umano”.
Secondo il filosofo la colpa di questa volontà di potenza dell’uomo sull’animale è da attribuire al Cristianesimo. In particolare egli deplora quella che chiama “scena dell’insediamento nel Giardino dell’Eden”, quando Dio “prende tutti gli animali come se fossero cose e, senza nemmeno la raccomandazione di un trattamento gentile che anche un venditore di cani di solito suggerisce quando si separa dai suoi animali, li consegna all’uomo affinché regni su di loro, cioè faccia con loro ciò che gli piace. “
Le pagine più belle che raccontano dello straordinario rapporto tra Arthur ed Atma si devono a Julius Frauenstadt nell’opera Conversazioni filosofiche. Egli racconta:
Verso le quattro del pomeriggio, come stabilito, mi presentai di nuovo a casa del filosofo. Dapprima chiacchierammo un po’, seduti l’uno accanto all’altro sul sofà, su argomenti indifferenti, ma poi egli mi propose di fare una passeggiata con lui all’aperto. Egli era già pronto, in frac e cravatta bianca. Accolsi con gioia la proposta e ci si avviò subito. Atma ci accompagnava e saltellava festoso davanti a noi.[…] Parlavamo del cane. “Il cane”, disse Schopenhauer, “è propriamente e originariamente un animale rapace. L’uomo se l’è poi coltivato e ne ha fatto quello che è, un docile animale domestico. Se non ci fossero i cani – aggiunse – io non vorrei vivere.” Una volta disse: “Ciò che mi rende così piacevole la compagnia del mio cane – e qui lo accarezzò e lo guardò amichevolmente negli occhi – è la trasparenza della sua natura. Il mio cane è trasparente come un vetro”.
Atma si sottraeva al fondamento stesso della sua filosofia. Era “trasparente come un vetro”, nessun Velo di Maya ne occultava la vera essenza, nessuna menzogna, nessuna distorsione, nessun inganno. Atma era per lui l’unica verità finalmente svelata.